EL SUR RESISTE !

CRONACA DELLA MARCIA

Giorno 1. Costa del Chiapas.
Partenza della Carovana “El Sur Resiste”.
Venerdì 28/04/2023

Ejido el Progreso, Pijijiapan, Chiapas

IL SUD RESISTE scarica il file in pdf

La Carovana è partita dall’Ejido La Gloria, dove il Consiglio Regionale Autonomo della Costa del Chiapas svolge diverse attività legate all’apprendimento e alla condivisione di agroecologia e di saperi ecologici. Da lì ci siamo spostati all’Ejido de El Progreso dove si sono svolte una marcia e una manifestazione politica.

Al centro della piazza principale abbiamo ascoltato le parole del Consiglio Autonomo, che ha condiviso la propria esperienza di quasi 30 anni di lotta che si è concentrata, ma non ridotta, a denunciare e resistere alle alte tariffe elettriche della Commissione Federale per l’Elettricità e a chiedere di applicare il riconoscimento a livello costituzionale dell’elettricità come diritto umano, dunque come diritto garantito dallo Stato messicano.

“Perché dobbiamo scegliere tra mangiare, tra vestirci e pagare una bolletta di 1500 pesos o 3000 pesos.   Siamo contadini, operai, pescatori: non abbiamo i soldi per pagare queste tariffe. Chiediamo che, dal momento in cui ci sono aziende che producono energia elettrica in Chiapas, anche noi abbiamo il diritto di avere l’elettricità”.  (Membro del Consiglio autonomo regionale della Costa del Chiapas)

I membri del Consiglio Autonomo hanno sottolineato come la loro organizzazione si scontri anche con altre problematiche, come l’imposizione di progetti che promuovono un presunto sviluppo, ma che invece causano solo danni ambientali ed economici agli abitanti, o come la violenza contro le donne e la mancanza di rispetto per i diritti delle comunità.

Una donna ha raccontato come il governo sia arrivato promettendo strade, ospedali e scuole in cambio del permesso di portare avanti i progetti minerari, ma come le comunità hanno resistito e si sono organizzate per impedire l’arrivo delle miniere in questa zona. Una delle funzioni del Consiglio Autonomo è quella di sensibilizzare le comunità per metterle in guardia dalle false promesse che il governo propone in cambio dell’accettazione di progetti di ogni tipo (immobiliari, minerari, energetici e programmi assistenziali).

È stata denunciata anche l’intenzione del governo e delle imprese di appropriarsi di tutto:
dell’acqua, delle risorse, del cibo, dei boschi e persino dei figli e delle figlie delle comunità. Di fronte a ciò, la comunità dichiara che continuerà a lottare e a resistere a questi furti, alle menzogne e agli interventi imposti nel proprio territorio.

“Vogliono prendere il controllo delle nostre decisioni, delle nostre risorse, stanno prendendo il controllo della famiglia, dell’acqua, dell’aria. Vogliono prendere il controllo di tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere. Nei luoghi dove non c’è organizzazione ci sono riusciti, in altri luoghi, come qui, siamo riusciti a resistere”.  (Membro del Consiglio autonomo regionale della Costa del Chiapas).

Tonalá, Chiapas – Dopo aver visitato la comunità di El Progreso, la Carovana El Sur Resiste si è spostata nella città di Tonalá, in Chiapas, dove si è svolta un’altra manifestazione politica organizzata dal Comitato di Resistenza Civile “Frente Cívico Tonalteco” nel giardino centrale della città di fronte al municipio.

Qui si è parlato delle grandi opere denominate Corredor Transistmico e Tren Maya. Le parole dei membri di varie comunità dell’Istmo di Oaxaca, di Veracruz, della comunità Otomí di Città del Messico e del popolo di Santiago Mexquititlán sono state di rifiuto di questi due progetti perché impongono una politica di sfruttamento e di violazione dei diritti dei popoli originari.

Durante la manifestazione è stato ricordato come questi due progetti siano di per sé un unico progetto di sterminio del sud-est messicano, che portano con sé molti altri progetti di cui beneficeranno le industrie straniere e non le comunità locali, come propagandato, tra cui progetti nei settori turistico, immobiliare, energetico, minerario, tessile, industriale, agroindustriale e ittico

Per esemplificare questa situazione, è stata menzionata l’intenzione del governo federale di costruire una rete di gasdotti che collegherà il Guatemala con la regione dell’Istmo e con la costa del Chiapas (comprendendo anche la città di Tonalá). 

Il gasdotto menzionato dagli organizzatori della Caravana El Sur Resiste non è l’unico previsto per la regione. In varie conferenze stampa di compagnie energetiche e petrolifere, a partire dal precedente mandato presidenziale fino a oggi, i governi federali e il settore privato hanno reso pubblica l’intenzione di collegare i gasdotti delle seguenti regioni (oltre a connetterli con i progetti del Corredor Transistmico e del Tren Maya):

– GASDOTTO TEXAS-TUXPAN-, VERACRUZ, – DOS BOCAS, TABASCO, con una lunghezza di 700 km e un investimento di 5 miliardi di dollari.

– GASDOTTO CACTUS, OAXACA-DOS BOCAS, TABASCO, con una lunghezza di 60 km e un investimento di 1 miliardo di dollari. 

Le dichiarazioni delle stesse imprese riguardanti questa macro-rete di gasdotti parlano dell’intenzione di regalare queste infrastrutturre agli investitori privati, il che rafforza le argomentazioni delle comunità partecipanti alla Caravana El Sur Resiste che descrivono questi progetti come iniziative a vantaggio di grandi compagnie straniere e capitali privati. 

Militarizzazione e migrazione

Come è stato dimostrato in varie ricerche e come hanno ricordato le comunità, gli effetti negativi dei progetti di morte del Corredor Transistmico e del Tren Maya vanno al di là della distruzione ambientale, comprendendo anche la violazione dei diritti umani delle diverse popolazioni indigene che abitano questi territori e la distruzione della loro cultura al costo del profitto dei milionari stranieri. A ciò si aggiungono l’aumento della presenza militare, della guardia nazionale, di altre forze di polizia, dei paramilitari e del traffico di droga e quindi l’aumento della violenza contro le popolazioni che abitano queste regioni. In Chiapas, ad esempio, sono stati costruiti finora 147 accampamenti militari, molti dei quali situati nelle immediate vicinanze delle comunità zapatiste.

Uno degli obiettivi del Corredor Transistmico e del Tren Maya è quello di creare grandi parchi industriali in tutta la regione sudorientale che, oltre a convertire i popoli originari in manodopera a basso costo per varie industrie, saranno zone di barriera per i migranti di tutto il mondo che iniziano il loro transito verso gli Stati Uniti attraverso il Chiapas, lo Yucatan e altre rotte.

Gli impatti di questa politica si fanno già sentire sensibilmente in Chiapas e nella zona attraversata dalla Carovana del Sud Resiste. Solo nel nostro viaggio da Tonalá, Chiapas, a Puente Madera, Oaxaca, abbiamo superato più di 9 posti di blocco con personale dell’esercito messicano, della guardia nazionale, della polizia di stato e della polizia migratoria che hanno fermato i diversi trasporti della Carovana in almeno 7 occasioni, hanno fotografato le auto e in quattro occasioni sono saliti a bordo dei camion, fotografando i partecipanti. 

Al posto di blocco che segna la divisione tra Chiapas e Oaxaca, oltre a essere fotografati dagli organi ufficiali di repressione dello stato messicano, siamo stati fotografati da persone vestite in abiti civili che hanno seguito in moto il nostro percorso per alcuni metri dopo aver superato il posto di blocco. Non conosciamo la natura e gli obiettivi di queste persone, ma segnaliamo con molta preoccupazione la loro presenza accanto alle forze militari.

Durante il tragitto abbiamo potuto osservare diversi gruppi di persone che percorrono a piedi le lunghe strade e che, alla vista dei posti di blocco sopra citati, si addentrano nel sottobosco che fiancheggia le strade asfaltate. Spesso su queste strade li attendono altri rischi, come lo sfruttamento e la tratta dei gruppi di criminalità organizzata in collusione con le autorità locali, l’esercito e altre forze di polizia. 

Nella piccola parte dello Stato del Chiapas che abbiamo potuto visitare, gli impatti delle grandi opere del Corredor Transistmico e del Tren Maya si fanno già sentire nella politica di militarizzazione e di trattenimento/persecuzione delle persone in transito verso il nord. 

Gli impatti ambientali e sociali negativi si sviluppano lentamente, ma si profilano nel prossimo futuro e le comunità chiedono di resistere a queste grandi opere e ai vari progetti che portano con sé. Se non si resiste, la catastrofe ambientale e sociale è più vicina che mai.

Per concludere la giornata, la Carovana è stata accolta nella comunità di Puente Madera con i membri della comunità che portavano torce e gridavano slogan nella loro ferma determinazione di difendere il territorio contro il Corredor Transistmico.

Giorno 2 – Puente Madera, Tehuantepec, Oaxaca.
Il vento del sud accresce la resistenza
Sabato 29/04/2023

La notte del 25 aprile la carovana El Sur Resiste è arrivata a Puente Madera, Oaxaca, dove la comunità si oppone alla costruzione di un mostruoso parco industriale che fa parte del progetto del Tren Interoceánico, noto anche come Corredor Transistmico.

Il benvenuto alla Carovana è stato all’insegna della lotta. Una lunga fila di persone con fiaccole ha accolto la Carovana all’incrocio dell’autostrada, dove da settimane si tengono blocchi e presidi che chiedono di essere ascoltati.

La Carovana si è unita ai membri della comunità e così è iniziata la marcia accompagnata da motociclisti e mototaxi al grido di: Puente Madera non si vende! L’Istmo non si vende! Mentre rimbombavano tutto intorno i clacson e i fuochi d’artificio. 

Il Pitayal

Durante la seconda giornata, mercoledì 26 aprile, la Carovana El Sur Resiste ha visitato El Pitayal, un’area ricca di alberi di mezquite, coyote, conigli, cervi e altre specie di piante e animali, che rischia di essere convertita in un’area industriale, una delle 7 promosse dal governo federale.

Qui, i membri della comunità di Puente Madera hanno spiegato cosa vorrebbero costruirci, tutti d’accordo su un punto estremamente importante: il Pitayal rappresenta più di uno spazio fisico e più della biodiversità che lo abita, la sua esistenza è anche la base dell’esistenza della comunità di Puente Madera, come spiega una donna della comunità.  

“Del Pitayal viviamo e ricaviamo alimenti, perché tagliamo la legna da ardere che usiamo per cucinare e che vendiamo. Qui ci sono conigli e cervi. Se ci tolgono il Pitayal è come se ci togliessero la nostra banca per vivere”.

Questo è un aspetto riguardante i popoli originari del territorio chiamato Messico che il governo di Andrés Manuel López Obrador ha deciso di ignorare, al pari degli altri governi neoliberali che lo hanno preceduto. Il proprio territorio originario rappresenta più di un’entità fisica e delle risorse che se ne possono ricavare. Infatti, popoli originari, tra cui gli Zapotechi di Puente Madera, hanno sviluppato qui il loro modo di esistere in completa connessione con il loro ambiente naturale.

Se il territorio in cui vive una comunità viene distrutto, non viene alterato solo il suo ambiente fisico, ma anche il modo di vivere di un intero popolo, la sua alimentazione, i suoi modi di produzione, la sua cultura, la sua tradizione e i modi di vita quotidiani.

L’area a rischio comprende più di 360 ettari. La comunità denuncia che il governo della quarta trasformazione ha cercato di imporre il progetto attraverso l’Istituto Nazionale dei Popoli Indigeni e grazie a persone cooptate nelle consultazioni, firme falsificate e minacce ai danni della comunità. 

“Noi dell’Assemblea dell’Istmo diciamo che l’attuale governo è il peggiore di tutti, questo governo non ci ha dato la minima opportunità di spiegare al governo perché siamo in resistenza, al contrario ci sta perseguitando”.

Durante la visita al Pitayal, i membri della comunità di Puente Madera hanno piantato due alberi diversi, simbolo della speranza che rappresenta questo particolare territorio. 

Allo stesso tempo, tre donne hanno fatto un’offerta nella loro lingua – lo zapoteco – ringraziando la madre terra per sostenere la vita, chiedendo forza per continuare la lotta.   El Pitayal è arido e secco, tuttavia la comunità ha già un piano per riforestare questo territorio e per continuare la propria esistenza in armonia come hanno fatto generazione dopo generazione.  

Resistenze nell’Istmo di Oaxaca

Dopo essere tornati da Pitayal, ci siamo uniti al primo panel del forum “Ribellioni e resistenze nell’Istmo di Oaxaca”, in cui i rappresentanti di diverse comunità della regione dell’istmo spiegano i problemi che minacciano la stabilità sociale, economica e ambientale dei loro territori.

È importante sottolineare che sarebbe difficile per ogni comunità spiegare la complessità dei problemi che devono affrontare e le proprie forme di resistenza. Tuttavia, è possibile fornire una panoramica generale della regione e, in base a quanto affermato da ciascun relatore, non sarebbe sbagliato sottolineare che una delle maggiori minacce per i Popoli e le comunità di questa regione è l’imposizione di progetti neoliberali, come il Parco Industriale di El Pitayal, che mette a rischio la loro esistenza, oltre a creare altri tipi di violenza innescati dalla rottura del tessuto sociale a causa della distruzione ambientale e quindi culturale, come risultato di un progetto imposto.

Questi effetti includono lo sfollamento forzato dal proprio territorio, l’aumento della presenza di gruppi criminali coinvolti nel traffico di droga e nella tratta di esseri umani e l’aumento della violenza contro donne e ragazze, tra gli altri.

Di seguito viene riportata una breve sintesi delle questioni sollevate da ciascuna comunità presente.

·        ASAMBLEA DE PUEBLOS INDÍGENAS DEL ISTMO EN DEFENSA DE LA TIERRA Y EL TERRITORIO (APIIDTT): l’Assemblea ha citato il problema dell’imposizione di parchi eolici in tutta la regione dell’Istmo, che non hanno generato benessere per le famiglie che sono state convinte ad affittare le loro terre nella forma legale dell’usufrutto, in cambio di contratti estremamente svantaggiosi. I parchi eolici, secondo l’APIIDT, causano anche la morte di specie impollinatrici, come i pipistrelli, contribuendo alla siccità dei terreni e all’inquinamento delle falde acquifere.

“Sono arrivati sul territorio, hanno ingannato la gente con contratti di usufrutto di 30 anni per affittare la loro terra. Molte persone hanno affittato, ma molti di noi hanno lottato con mezzi legali, con azioni dirette, con l’advocacy, e siamo riusciti a fermare due progetti. E anche se ci sono 15 parchi eolici a Juchitán, non abbiamo ricevuto un solo watt da queste aziende, non riceviamo nulla da loro. Questi progetti non sono per noi.”

Ixtepec:  la comunità di Ixtepec ha presentato parte della sua esperienza di oltre 10 anni di resistenza contro un progetto minerario, che non ha potuto essere realizzato a causa della resistenza della comunità, organizzata soprattutto dalle donne. Tuttavia, la comunità di Ixtepec ha ricordato che la stessa situazione vissuta 10 anni fa, quando il progetto minerario è arrivato nella loro comunità, si sta verificando adesso con il progetto del Treno Interoceanico/Transistmico.

“Eravamo un piccolo gruppo di donne molto, molto giovani e ci siamo preoccupate di tutto ciò che stava accadendo, abbiamo raccolto dati fino a quando non abbiamo visto che i leader locali erano in possesso di queste informazioni, avevano dato il via libera all’estrazione mineraria; abbiamo organizzato una campagna per evidenziare questo fatto perché sapevamo che la posta in gioco era la vita, e siamo riusciti a fermarlo.

Adesso stiamo subendo l’attacco da parte del Corridoio Interoceanico, a Ixtepec si sta ripetendo quello che è successo 10 anni fa, la gente non sa cosa sta succedendo sul territorio, non sa cosa sia un parco industriale, non sa come questo treno porterà via quel poco o tanto che abbiamo.”

-La Ventosa: la comunità de La Ventosa ha presentato la sua resistenza dal 2016 contro le compagnie minerarie canadesi e come sono riusciti a ottenere la fiducia degli abitanti del villaggio, e delle altre comunità, in modo da fermare il progetto attraverso l’organizzazione comunitaria.

“Il progetto aveva 30 anni di concessioni in vigore, fermare il progetto ci è costato diffamazioni, minacce e stanchezza, ma noi continuiamo a dire no alla miniera, no ai parchi eolici. Diciamo no anche alle consultazioni, perché sono truccate e ci tolgono il diritto all’autodeterminazione”.

-Ixhuatán:  la comunità di Ixhuatán ha spiegato come nella parte orientale dell’Istmo ci siano 16.000 ettari in concessione sin dall’amministrazione Peña Nieto e, sebbene il governo López Obrador abbia negato la concessione, è noto il progetto di generare zone di produzione e investimento in tutto l’Istmo.

“L’Istmo è sempre stato nel mirino dello sfruttamento, fin dagli anni 2000 con il Plan Puebla Panama con Vicente Fox, le Zone Economiche Speciali con Peña Nieto, e con AMLO le zone economiche speciali, il canale inter-oceanico. Nome diverso, ma stessa visione di sfruttamento

C’è un’altra concessione mineraria, sempre dell’amministrazione Peña Nieto, al confine con i Chimalapas, questa relativa al fiume Ostuta, il più importante di tutto l’Istmo, dove c’è un mare di argento e rame e hanno fatto di tutto per sfruttare questi minerali. Tuttavia, è stata la difesa e l’organizzazione delle proprietà comunali e dell’ejido e l’organizzazione del popolo a fermare anche i lavori.

Abbiamo anche il progetto Sembrando Vida, che ha incoraggiato la gente a smettere di lavorare la terra: ora tutti piantano mango e maguey, ma ora piantano solo quello, solo mango, e la terra non viene più lavorata.”

Criminalizzazione della comunità di Puente Madera

Tra gli impatti subiti dalla comunità di Puente de Manera c’è la persecuzione subita per essersi opposta al Parco Industriale. Attualmente ci sono 17 mandati di arresto contro membri dell’Assemblea e il compagno David Hernández Salazar è stato imprigionato e liberato dopo 8 ore perché è stato possibile dimostrare l’irregolarità del processo e la fabbricazione di crimini contro di lui; tuttavia, le vessazioni continuano, così come il processo giudiziario.

Pertanto, l’Assemblea dell’Istmo ritiene i tre livelli di governo, compreso Antonino Morales Toledo, Segretario dell’Amministrazione dello Stato di Oaxaca,; il governatore di Oaxaca, Salomón Jara Cruz; e il Presidente della Repubblica, Andrés Manuel López Obrador, responsabili di qualsiasi attacco di ogni tipo contro qualsiasi membro della comunità, i membri dell’Assemblea o il fronte delle organizzazioni di Oaxaca.

Ci uniamo a questo appello, chiediamo il rispetto della vita e della resistenza della comunità di Puente Madera e di tutta la regione dell’Istmo di Oaxaca; allo stesso modo chiediamo la cancellazione dei progetti di morte in questa regione perchè rappresentano una minaccia per la vita e l’esistenza delle comunità che da secoli abitano questi territori proteggendo la madre terra.

Giorno 3. Presidio Tierra y Libertad. Guichicovi, Oaxaca.
La carovana sostiene il presidio “Tierra y Libertad”
contro il Corridoio Interoceanico.
Domenica 30/04/2023

Giorno 3. La carovana sostiene il presidio “Tierra y Libertad” contro il Corridoio Interoceanico.

Il terzo giorno della carovana siamo arrivati dai compagni dell’UCIZONI (Unione delle Comunità Indigene della Zona Nord dell’Istmo), che la sera prima avevano predisposto l’accoglienza nel centro agro-ecologico Tierra Bonita per passare la notte e cenare. Al mattino, la carovana viene ricevuta dalle commissioni delle oltre 32 comunità Mixe che mantengono il presidio “Tierra y Liberdad” a Mogoñe Viejo, che da 60 giorni si oppone all’imposizione del Corredor Interoceánico.

Il presidio sta bloccando i lavori di ammodernamento di una linea ferroviaria che dovrebbe connettersi al Tren Maya e a un’intera rete ferroviaria che collegherà Canada, Stati Uniti e Messico. Hanno affrontato criminalizzazione, repressione e una forte campagna diffamatoria da parte del governo federale per aver difeso il proprio territorio e per aver ostacolato uno dei progetti di punta del governo di AMLO, che nel 2019 ha presentato questo megaprogetto con una lettera a Donald Trump per attirare gli investimenti e il sostegno degli Stati Uniti. 

Oltre agli attacchi del governo e delle forze armate, della guardia nazionale e della marina, hanno anche dovuto resistere alla violenza criminale dei gruppi di narcotrafficanti. Tra questi hanno denunciato le azioni repressive commesse dal gruppo criminale guidato da Tacho Canasta contro i membri della comunità di Santa Cruz Tagolaba e la repressione contro gli attivisti e le autorità locali di Ixhuatan. Ciò fa parte di una strategia utilizzata in tutto il Paese per disarticolare la difesa del territorio.

Di fronte a questo è stata sottolineata la necessità di tessere reti di solidarietà nazionale e internazionale in difesa della natura, delle comunità che la difendono e per confrontare il discorso dello Stato,  dar voce alla parola dei popoli, rivendicando la loro autodeterminazione.

La terra è di chi la lavora, di chi la difende, di chi la vive, di chi la calpesta, di chi ci cammina, di chi la ama e di chi la difende. Il diritto internazionale riconosce il diritto dei popoli indigeni all’autodeterminazione e questo implica il diritto di decidere cosa fare nei territori che abitano.

Il compagno Carlos Beas ha ricordato come nel 1899 è nato il treno transistmico, quando la dittatura militare di Porfirio Díaz consegnò la concessione del progetto alla società inglese Pearsons and Son Co. Successivamente il progetto, inaugurato nel 1907, perse d’importanza con l’entrata in funzione del Canale di Panama.   Tuttavia, diversi governi, come quelli di Salinas e Fox, provarono a riproporre questo progetto di “sviluppo” e di modello neoliberale nei diversi governi successivi. È importante sottolineare che Carlos Beas è stato oggetto di minacce da parte di gruppi della criminalità organizzata, che perseguitano le autorità dell’ejido e i membri della comunità che partecipano al processo di organizzazione comunitaria.

Il progetto ferroviario di López Obrador propone un esproprio macroregionale. Non si tratta solo di costruire i binari, c’è un intero piano di espropriazione per la zona dell’Istmo: gasdotti e oleodotti, raffinerie, industrie manifatturiere, miniere e 10 parchi industriali. López Obrador sta riuscendo a portare a compimento il più grande sogno di ogni neoliberista di cui i 32 Popoli Originari che abitano la parte settentrionale dell’Istmo sono stati il più grande incubo. 

“Da giugno 2019, fino a marzo 2023, si contano circa 69 mobilitazioni dei popoli per impedire i lavori e i danni causati da questi progetti. Il 3 febbraio 2023, 3 comunità si sono mobilitate insieme: Palomares, Movilización e Sabirera. In tutte e tre le mobilitazioni la risposta del governo della 4T alle nostre rivendicazioni è stata di farsi presente, attraverso la  Segreteria della Marina, cercando di intimidire le proteste”.  

La denuncia dei compagni dell’UCIZONI si è poi soffermata sulle false consultazioni popolari e sul rifiuto di fornire informazioni sui progetti: i cittadini hanno sottolineato come le autorità federali non abbiano fornito informazioni sufficienti sul progetto, né sugli studi d’impatto ambientale, né informazioni in Mixe o Zoque, le lingue più parlate dagli abitanti. La divisione delle comunità attraverso progetti governativi selettivi ed elargizioni di fondi: gli abitanti di questa regione hanno menzionato il progetto Sembrando Vida e altri programmi della 4T che creano relazioni clientelari tra alcuni abitanti e il governo federale e statale. In altre zone dell’Istmo, la situazione si ripete; nella parte orientale della regione, sono stati identificati due omicidi di attivisti e difensori della comunità, e gli abitanti raccontano anche che persone del governo federale e statale hanno fatto pressioni sulle autorità tradizionali degli ejidos affinché accettassero ingenti somme di denaro in cambio della cessione di diritti sulla terra; le somme sono arrivate fino a un milione di pesos. Una cifra insignificante per le aziende. L’investimento che López Obrador ha annunciato nel 2018 per il solo Piano di sviluppo dell’Istmo di Tehuantepec è stato di 8 miliardi di pesos. Tuttavia, la domanda è: dove  finiscono questi 8 miliardi di pesos? Dove sono tutti i miliardi di pesos utilizzati per altri progetti come i parchi eolici e i gasdotti?

Alla fine della condivisione, si è svolta una marcia dall’accampamento all’autostrada per riprendere il cammino della carovana e proseguire verso Veracruz. 

Durante la giornata sono state commemorate la vita e la lotta di Betty Cariño e Jyri Yaakkola, assassinati il 27 aprile di 13 anni fa durante una carovana a sostegno della comunità autonoma di San Juan Copala, Oaxaca. L’organizzazione politica MULT ha teso un’imboscata alla carovana e da molti anni ha sfollato e ucciso la popolazione originaria della comunità, appartenente al popolo Triqui, per assicurarsi il controllo politico e del bilancio municipale. I quattro probabili responsabili sono stati rilasciati grazie a un patto tra l’organizzazione e il governo messicano, motivo per cui, a 13 anni da questa terribile data, si continua a chiedere giustizia per Betty e Jiry.

Giorno 4. Oteapan, Veracruz.
Resistere all’espropriazione a vantaggio dei ricchi.
Lunedì 01/05/2023

Oteapan è una comunità che è già stata sfollata una volta: nella memoria collettiva è ancora presente il fatto che 300 anni fa hanno dovuto lasciare le loro terre che si trovavano al confine tra Tabasco e Veracruz. Una delle cause dello sfollamento, dicono, è che è stato dovuto anche a “problemi dei ricchi”, ed ora, dopo tanti anni, quei ricchi stanno di nuovo cercando di espropriarli delle loro terre per continuare a distruggere e fare soldi. 

Il quarto giorno della carovana El Sur Resiste ci siamo recati alla comunità di Oteapan a Veracruz, percorrendo una strada che segue un percorso simile a quello del Treno del Corredor Interoceanico, ad ora in costruzione. I popoli di Veracruz e Oaxaca sono uniti nella lotta contro uno dei progetti più predatori e distruttivi del 4T.

Oteapan si posiziona come cintura della regione e, come in tutte le tappe della carovana, abbiamo ricevuto una calorosa accoglienza nel Barrio Naranjal che confina con il Barrio de la Dina: i compagni che resistono lì hanno lanciato petardi annunciando il nostro arrivo, così come gli atti politici sono stati accompagnati dalla musica tradizionale del sud di Veracruz e, in conclusione, c’è stato un omaggio a Bety Cariño e Jyri Jaakkola, a 13 anni dal loro assassinio avvenuto mentre viaggiavano in una carovana umanitaria a San Juan Copala, Oaxaca. I membri della comunità di Oteapan hanno ricordato il loro cammino con Bety e i giovani e i bambini della comunità hanno letto poesie in suo onore.

Il panorama che si presenta alla comunità di Oteapan non è molto diverso da quello che abbiamo documentato fin dal primo giorno: la 4T ha cercato con tutti i mezzi possibili di distruggere il tessuto comunitario per imporre il Corredor Interoceanico e tutti i megaprogetti a esso associati.

Un giovane di Oteapan ha denunciato che due anni fa il governo ha espropriato 2000 ettari alla comunità, ma questa non è una novità, infatti già 80 anni fa il governo di Veracruz ha cercato di sottrarre 200 ettari alla comunità. A partire dal 2022, il governo ha tentato di espropriare 7 quartieri, La Dina, Tierra Colorada, Tapalan, Porvenir, Rancho Alegre, Predio Viveros e El Naranjal; queste terre coprono il territorio dove si intende far passare i binari del treno, al confine con l’autostrada transistmica che collega questo territorio con Oaxaca.

Di fronte a questi eventi, la comunità ha istituito un blocco stradale il 7 marzo 2022, chiedendo confronto e il rispetto dei propri limiti territoriali, ma anche in questa occasione la risposta dello Stato è stata la violenza attraverso lo sgombero con forze di polizia e gas lacrimogeni. L’8 marzo sono stati picchiati dalla polizia che ha bruciato 50 moto, appartenenti ai membri della comunità, e 4 auto.

“Non siamo d’accordo che il governo venga a raccogliere un voto e ci tratti in questo modo”.

Fotografia Dave Muoz

Nel frattempo, mentre l’evento si svolgeva durante la mattinata, abbiamo appreso che l’accampamento Tierra y Libertad a Mogoñé Viejo, Oaxaca, dove la carovana era stata solo il giorno prima, era stato brutalmente sgomberato dal SEMAR, dalla Guardia Nazionale e dalla polizia municipale.

La risposta della Caravana El Sur Resiste è stata la solidarietà attraverso l’azione organizzata: dopo l’annuncio della notizia, la popolazione di Oteapan e di altre comunità di Veracruz ha deciso di bloccare l’autostrada transistmica.

Fotografia David Valero
Discarica di coke a cielo aperto

Dal 2013, a Jaltipan, un comune adiacente a Oteapan, è stata installata una discarica di coke a cielo aperto sulle sorgenti del progetto. Lì giungono i rifiuti tossici del processo di raffinazione del petrolio dell’impianto Pemex General Lázaro Cárdenas, a Minatitlán, Veracruz.

Per anni la comunità di Jaltipan e altre comunità vicine hanno denunciato gli impatti negativi di questa attività sia sull’ambiente della regione che sulla salute degli abitanti. Tuttavia, nessuna autorità ha dato ascolto alle lamentele della popolazione e, ad oggi, l’impianto continua a funzionare…

Abbiamo parlato anche con una giovane donna della comunità, che ci ha espresso la sua preoccupazione per il fatto di vivere vicino a questo impianto che, sebbene non si trovi a Oteapan, ha comunque un impatto su tutta la regione.

“Il coke è altamente tossico, contamina le falde acquifere, i gas evaporano e si diffondono in tutta l’area… non sappiamo fino a dove arriverà, è altamente cancerogeno”.

Secondo gli abitanti del villaggio, i contadini che vivono vicino alla fabbrica di coke hanno potuto osservare che le attività stanno iniziando ad avvicinarsi alle terre di Oteapan. Un altro problema che nessuno dei tre livelli di governo ha affrontato finora.

Fotografia Karen Castillo

Giorno 5.
Villahermosa e El Bosque, Tabasco.
Disprezzo nella terra natale del presidente
e sfollamento a causa del cambio climatico.
Martedì 02/05/2023

Villahermosa

La Caravana El Sur Resiste è arrivata in serata con un’accoglienza calorosa da parte della chiesa che accompagna i processi organizzativi di lotta dal basso; la chiesa della parrocchia di San José ha fornito ai compagni un luogo dove passare la notte, cibo e pozol. Al mattino la Carovana si è spostata nel centro di Villahermosa per tenere un incontro politico-culturale con le organizzazioni locali.

Durante l’evento, la CODEHUTAB ha condiviso con noi la contestualizzazione rispetto l’ottimismo per la nomina di Adán Augusto López Hernández, che pretendeva di trasformare radicalmente il modo di governare e ha ricevuto un ampio sostegno popolare, ma che una volta al potere ha abbandonato gli interessi della rappresentanza popolare ed è addirittura tornato indietro sui diritti della legislazione locale, promuovendo l’iniziativa della Legge Garrote. La legge è stata approvata durante il nuovo governo, anche se con l’appoggio del CODEHUTAB, la Corte Suprema è riuscita a invalidarla come incostituzionale. Ha inoltre promosso la Legge Dedazo, lesiva dei diritti democratici, che è stata approvata e che propone di sostituire la nomina dei delegati municipali eletti popolarmente con quelli eletti dal consiglio comunale.

Il deterioramento della terra e delle comunità contadine e indigene ad essa legate è  responsabilità dei progetti di idrocarburi che abbondano in questa regione, rendendo il suolo e l’acqua sempre più inquinati, il che colpisce direttamente l’agricoltura, l’allevamento e la pesca, le principali attività delle comunità. PEMEX, la compagnia petrolifera statale che opera in questa regione, ha contato e reso pubblico che dal 2018 e fino al 2022 ci sono state 84 fuoriuscite e 11 perdite, dovute principalmente a problemi di progettazione e mautenzione che deteriorano la regione e che con il nuovo progetto di raffineria a Dos Bocas in costruzione genererebbero un deterioramento ancora maggiore.

Nonostante questo panorama avverso, l’organizzazione che aderisce alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona: Cuore di Piedra Verde ha condiviso le sue parole di incoraggiamento e ha insistito sulla difesa dei territori, che sono parte integrante delle comunità indigene che esistono in tutto l’Abya Yala. Hanno salutato lo sforzo della Carovana di denunciare ed evidenziare il legame tra i megaprogetti del Treno Maya e del Corridoio Interoceanico, che cercano di insediarsi in una delle zone con la maggior quantità di risorse del Paese e che il discorso egemonico manipola come un progetto per i popoli, quando invece è un progetto di espropriazione.

E’ stato condiviso un estratto di Alfredo Viterio che riportiamo di seguito:

“il nostro territorio non è né una cosa né un insieme di cose utilizzabili, sfruttabili, né un insieme di risorse, il nostro territorio con le sue giungle, le sue montagne, i suoi fiumi, le sue lagune e le sue zone umide, con i suoi luoghi sacri dove vivono le divinità protettrici, con i suoi terreni neri, rossi e sabbiosi e le sue argille è un’entità viva che ci dà la vita, ci fornisce acqua e aria, si prende cura di noi, ci dà cibo e salute, ci dà conoscenza ed energia, ci dà generazioni e una storia, un presente e un futuro, ci dà identità e cultura, ci dà autonomia e libertà, quindi insieme al territorio è la vita e insieme alla vita è la dignità, insieme al territorio è la nostra autodeterminazione come popoli. “ 

In questo modo è stato chiarito che i popoli continuano a ricevere gli attacchi del grande capitale e gli inganni dei falsi rappresentanti del popolo che obbediscono a interessi privati, che la resistenza contro l’espropriazione deve essere rafforzata, intrecciata e cercare convergenze per unire le forze per la conservazione del loro territorio e quindi della propria esistenza. 

El Bosque

Al suo quinto giorno di viaggio la carovana “El Sur Resiste” è arrivata  alla Colonia el Bosque, Tabasco, una comunità situata tra l’Oceano Atlantico e il fiume Grijalva. El Bosque rischia di scomparire perché dal 2019 il livello del mare ha iniziato a salire rapidamente, spazzando via la costa, le strade, l’asilo, la scuola e decine di case.

El Bosque è una delle tante comunità di tutto il mondo che rischiano di scomparire sommerse dall’acqua a causa dell’innalzamento del livello del mare provocato dai cambiamenti climatici. In Messico, è una delle prime comunità identificate come sfollate a causa di questo fenomeno.

Oggi sono poche le case e gli edifici sopravvissuti alla catastrofe di El Bosque, molte famiglie sono state sfollate e quelle che ancora resistono chiedono il sostegno del Governo Federale di fronte alla distruzione della loro comunità, delle loro case, delle loro radici e del loro intero stile di vita.

Ce lo spiegano Cristina Isabel Vicente ed Estanilada Cardona, che ci fanno fare un giro della comunità per mostrarci gli edifici che stanno per scomparire sotto il mare raccontandoci la loro testimonianza e quella di altri membri della comunità che sono in attesa che il Governo Federale rispetti il piano di trasferimento promesso alle famiglie di El Bosque nel febbraio di quest’anno.

“Il 10 novembre 2022, qui a El Bosque, si è tenuta una conferenza stampa per rendere nota la terribile situazione che stiamo vivendo, ed è stato allora che abbiamo iniziato a farci sentire dai media e dalle autorità. Da quando si è tenuta la conferenza stampa non è rimasto più nulla, tutto è scomparso.

Chiediamo di essere trasferiti, abbiamo già perso le nostre case, siamo chi in affitto, chi ospite, e chiediamo di essere trasferiti. Le autorità ci hanno dato una risposta, dicono che saremo trasferiti, ma dicono che ci vuole tempo, stiamo parlando di almeno 60 persone che in attesa di trasferimento”.

Come detto, El Bosque non è l’unica comunità al mondo che rischia di essere divorata dal mare.

Proseguendo la visita di El Bosque con Cristina ed Estanilada, ci fermiamo davanti a un edificio che sta per crollare. Alle sue spalle, il mare agitato e il forte vento continuano a erodere le fondamenta dell’edificio. Tra le onde si vedono anche i resti di altre costruzioni, oltre ad alberi e rami secchi. Cristina ci spiega che questo edificio era la sua casa.

“Voglio condividere con voi che questo edificio dietro di me era la mia casa… sono stati anni di lotta per costruirla, e purtroppo oggi non ho più una casa. È molto difficile per noi essere sfollati, è molto difficile mantenerci in lotta ora, ma continueremo”.

Cristina aggiunge al racconto della sua testimonianza, che di quella che era la sua casa non è rimasto nulla; uno spazio vuoto e le onde del mare, sono tutto ciò che possiamo vedere.

“Ho perso anche la mia casa, li c’era la mia casa e l’ho persa, sono rimasta senza casa, adesso… sono rimasta senza niente, non si vede più, è finita sotto l’acqua”.

Il processo di trasferimento

I pochi abitanti di El Bosque che sono ancora in attesa di essere trasferiti riferiscono che sono già in contatto con le istituzioni governative, SEDATU e SEMARNAT, dal febbraio 2023.

Tuttavia, le famiglie non hanno ancora ricevuto una tempistica possibile per il trasferimento, né sanno dove saranno trasferite, né tantomeno l’estensione del terreno che riceveranno.

Cristina ed Estanilada commentano che la comunità spera di rimanere vicino al mare, poiché è un popolo storicamente dedito alla pesca e il mare è la sua fonte di cibo e di sostegno economico.

“Viviamo di pesca, per questo vogliamo sapere se ci trasferiranno in un posto dove potremo farlo, è tutto preoccupante, molto preoccupante, (………….)

Ne discutiamo in comunità, ci sediamo, parliamo con pane e caffè davanti, perché dicono che con il pane il dolore è minore. Come comunità siamo molto scossi, le notti sono molto preoccupanti, passiamo tutto il tempo a pensare al mare, a quel mare che già temiamo si alzi sempre di più.

Oltre a vivere con la preoccupazione, giorno e notte, che altre case e spazi spariscano sotto il mare, la situazione dei servizi nella comunità peggiora di giorno in giorno.

Cristina ci racconta che la maggior parte delle famiglie non ha più  frigoriferi di casa, che si sono rotti, rendendo difficile per le famiglie conservare il cibo più a lungo, come anche le medicine per il diabete. Anche i pali della luce stanno iniziando a cedere alle onde; la comunità potrebbe perdere la fornitura di elettricità in qualsiasi momento.

“L’intera comunità è quasi rimasta senza frigoriferi, io ad esempio ho il diabete, non ho un posto dove tenere la mia insulina, ieri ho risolto con una barretta di ghiaccio, ma non so se potrò trovarla ogni giorno. Siamo d’accordo al trasferimento, ma nel frattempo abbiamo bisogni urgenti”.

Parlando con alcune persone della comunità, hanno detto di comprendere che il processo di trasferimento può essere lento e complicato, tuttavia sperano che ci possa essere un altro tipo di intervento e che possa ridurre la situazione di crisi nella comunità.

Nonostante il riscaldamento globale sia stato identificato come una priorità nella politica internazionale, a causa dell’impatto che avrà sulla sicurezza umana di milioni di persone in tutto il mondo, il governo messicano non ha alcun tipo di piano o proposta di politica pubblica che cerchi di fermare questo processo.

Né esiste un piano per assistere le vittime dei disastri naturali che stanno già iniziando a verificarsi, come suggerisce il caso della comunità di El Bosque, e che presto si moltiplicheranno su tutto il territorio nazionale se non si affrontano le cause della crisi climatica: il capitalismo vorace che continua in un processo di produzione illimitata a spese dell’ambiente e della vita di tutti gli esseri viventi sul pianeta.

Durante il giro, Cristina ed Estanilada si fermano davanti a un altro edificio che sta crollando, questa era la scuola della comunità, anche l’asilo è scomparso. Ora i bambini rimasti nella comunità vanno a scuola solo 6 ore a settimana in un piccolo edificio con il tetto di lamiera.

Anche la vita della comunità, non solo dei suoi edifici, è stata gradualmente divorata dal mare.

La perdita delle radici di una comunità

Cristina ed Estanilada continuano a fare da guida, camminiamo per circa un chilometro; il mare è agitato e l’aria soffia forte; oggi è arrivato il vento del Nord, cambiando le condizioni meteorologiche del luogo, che di solito è soleggiato con il mare calmo.

Arriviamo al punto in cui il fiume Grijalva si unisce all’Oceano Atlantico, Cristina ed Estaniladasi fermano, insieme a ragazzi, ragazze, adolescenti, donne e uomini della comunità. Ci indicano una piattaforma di cemento che si vede a malapena a pelo d’acqua.

La spianata di cemento un tempo era un molo che funzionava da punto d’incontro di tutta la comunità; le famiglie vi si riunivano per pescare, attività che per generazioni ha plasmato l’identità delle persone che vi abitano ma anche la loro fonte di cibo ed economia.

Oggi il molo non esiste più, la pesca è quasi scomparsa, e con esso tutte le attività che vi si svolgevano, nonché il sostentamento delle famiglie; questa è la testimonianza offerta da Cristina:

“Una volta venivamo quasi tutti a pescare, questo era come un tianguis, tutti portavano delle coperte così i nostri figli potevano stare qui a dormire mentre andavamo a pesca, portavamo il prodotto a vendere e nel pomeriggio andavamo di nuovo a pesca. Ora non è più così, non c’è più la produzione di una volta, si è persa, queste erano le nostre radici, mi sento triste, sento che il cambiamento climatico sta portando via le nostre radici. È molto triste, sappiamo che se un giorno arriverá un vento più forte o un uragano, potremmo scomparire da un giorno all’altro.

Questo era un molo ben strutturato, ma si è perso, sta affondando, qui si pescava, qui si faceva festa. Non avrei mai immaginato che sarebbe successo a noi, quando hanno detto cambiamento climatico, sembrava una voce lontana, quando l’ho sentito ho pensato alle persone in città con le loro auto, e non a noi che viviamo senza inquinamento. Non siamo stati noi a causare il cambiamento, ma saremo noi a pagarlo, oggi siamo noi, ma domani saranno altri”.

Cristina ha ragione, i Popoli Originari, i popoli contadini, le comunità dei continenti del Sud, come il Messico e l’America Latina, e in particolare i Popoli Originari, i popoli contadini e i poveri, saranno quelli che subiranno le conseguenze peggiori degli eventi naturali che il riscaldamento globale genererà in tutto il mondo, o meglio, quelli che stanno già pagando per queste conseguenze.

Tuttavia, è il Nord globale che è stato responsabile di generare la crisi climatica che stiamo vivendo, e in particolare sono i popoli del Nord globale che sono responsabili di aver generato miliardi di fatturato al costo di milioni di vite umane.

Quello che sta accadendo nella foresta non è un fenomeno spontaneo: a livello globale, è stata posta la necessità di politiche pubbliche che mettano le comunità indigene, contadine e di pescatori al centro della discussione sul riscaldamento globale. Sono loro che sono riusciti a proteggere gli ultimi polmoni verdi e le aree naturali che si conservano in tutto il mondo, ma anche quelli che soffriranno di più gli effetti del riscaldamento globale.

La profonda interrelazione che i popoli indigeni hanno con l’ambiente e con il territorio che abitano significa che la loro identità, la loro economia e la loro vita comunitaria sono intimamente legate alla sopravvivenza del loro territorio.

Proprio come a Puente Madera, Oaxaca, la comunità spiega che se il Pitayal sarà distrutto per costruire un parco industriale, sarà distrutta anche la sua attuale fonte di vita; lo stesso accade a El Bosque con la perdita della pesca come attività fondamentale per la vita.

Per questo motivo, le soluzioni governative a livello mondiale – e in Messico – devono essere profonde e sistemiche; nessuna vita può sopravvivere al capitalismo depredatore e alla sua macchina di morte.

Terminiamo la visita e la documentazione a El Bosque con un pasto che le famiglie del posto hanno preparato con grande impegno e solidarietà; nonostante l’incertezza, il dolore, la distruzione e la preoccupazione che hanno vissuto negli ultimi anni, nei loro occhi e nelle loro azioni c’è ancora speranza, solidarietà e resistenza.

I bambini ridono e giocano nell’acqua, le donne parlano e conversano tra loro, la comunità di El Bosque resiste e continua la lotta.

Giorno 6 – Manca la documentazione

Giorno 7. Valladolid, Yucatán.
Il popolo como la selva rifiorisce sempre.
Mercoledì 03/05/2023

Il settimo giorno della Carovana El Sur Resiste è iniziato con un rituale tra tutte le persone che compongono la carovana; donne e bambini, giovani e anziani; molti provengono da altri Stati della Repubblica messicana e anche da altri paesi, ma in questa carovana abbiamo camminato insieme per ascoltare il dolore dei Popoli Indigeni e anche per dare voce alla loro resistenza.

Nel rituale, le compagne di Casa Colibri hanno ricordato tutte le persone e i compagni defunti e i difensori della terra che sono stati assassinati per difendere il territorio. Hanno anche sottolineato la necessità di ricordare che i bambini e gli adolescenti sono il motivo per cui lottare, per lasciare un mondo migliore in tutti i sensi, compreso il diritto dei bambini a un ambiente sano.

“Oggi mi impegno affinché le mie azioni di adulto facciano la differenza per i bambini, il valore della nostra terra e della nostra cultura non si può calcolare, perché semplicemente non è in vendita”.

Terminato il rituale, ci siamo messi in marcia verso il centro di Valladolid, durante la marcia i compagni e le compagne dei popoli originari e tutti i collettivi che li accompagnano gridano a gran voce: Sì a la selva, No al treno! Acqua sì, Tren no!, I cenotes non sono in vendita, bisogna amarli e difenderli!, Quel treno non è maya, questo treno è militare!

I membri della carovana hanno distribuito volantini con informazioni sugli effetti del Tren Maya agli abitanti di Valladolid che osservano con interesse la marcia, molti dei quali registrano con i loro telefoni e guardano dalle finestre delle loro aziende, case e automobili.

Violenza e distruzione ambientale nello Yucatan a seguito dell’imposizione di megaprogetti.

Al termine della marcia, si è svolto un raduno in cui persone provenienti da diverse comunità dello Yucatan e da altre zone della penisola parlano dell’espropriazione, della contaminazione ambientale e della violenza che subiscono nelle loro comunità.

  • Valladolid: si è parlato della gentrificazione della città e di come per i giovani e le nuove generazioni sia praticamente impossibile acquistare o comprare un terreno in città, violando così il diritto ad avere una casa dignitosa. Tutto ciò è stato provocato dall’arrivo del turismo che non tiene conto del benessere delle persone originarie di questo territorio. Nonostante la situazione critica dello Stato rispetto alla distruzione ambientale, le compagne intervenute sottolineano la speranza di continuare a lavorare per ribaltare la situazione e lasciare un mondo migliore alle prossime generazioni.
  • Concejo de Xpujil, Calakmul: Il consiglio parla del ricorso che hanno messo in campo e con cui hanno cercato di frenare la costruzione del Tren Maya nel loro territorio.  Il compagno parla dell’uso della Guardia Nazionale e dell’esercito, e soprattutto della costruzione di un hotel, che dovrebbe avere 162 camere, che sta sorgendo nel cuore della riserva di Calakmul e che è stato dato in concessione all’esercito messicano come il resto del progetto del Tren Maya. Tale costruzione farebbe scattare un campanello d’allarme perché, se realizzata, distruggerebbe una delle ultime giungle conservate dell’intero continente.
  • Cancún e Playa del Carmen: la compagna parla di tutta la distruzione che il progetto del Tren Maya sta già causando in questa zona, come l’abbattimento di 9 milioni di alberi solo tra Mérida e Xpujil. Si parla anche di tutta la violenza che il modello di turismo promosso a Cancún e Playa del Carmen ha generato (lo stesso modello che sarà applicato con la costruzione del Tren Maya in tutta la penisola dello Yucatán e in ogni territorio che attraverserà).  Scomparse forzate, femminicidi e violenza generata dai cartelli della droga sono tre fenomeni che si sono dimostrati interconnessi con l’arrivo di megaprogetti come il Tren Maya.

“Ci sono più di 9 milioni di alberi abbattuti dopo che era stato affermato che non ne sarebbe stato abbattuto nessuno, quindi ci hanno detto 9 milioni di bugie, bugie a pioggia come se fossero niente”.

“Ecco il risultato di questo modello di sviluppo, abbiamo Cancun come una delle città più violente, una delle più pericolose, nascondono cifre in continuazione, presentano cifre di alberghi, quante camere d’albergo ci sono, quanti posti di lavoro sono stati creati, ma senza dirci a che costo.”

  • Siltepech: Le compagne raccontano la loro lotta in difesa dell’acqua nel loro territorio, questa è messa a rischio a causa della crescente presenza di mega allevamenti di maiali, che si sono dimostrati altamente inquinati a causa dei rifiuti che producono. Si parla anche della criminalizzazione di cui sono stati vittime gli abitanti Maya di Siltepech, con 8 membri attualmente sottoposti a procedimento penale per la difesa del loro territorio. Si ricordano anche gli atti di brutalità della polizia e gli arresti arbitrari che hanno avuto luogo contro alcuni partecipanti a una marcia a sostegno della comunità di Siltepech nella città di Mérida, nello Yucatán.

Vogliamo acqua pulita, l’acqua è nostra”.

La voce di speranza dei giovani

Chirro, un giovane della comunità indigena di Oteapan, Veracruz – visitata dalla Carovana El Sur Resiste – ha parlato a nome della sua comunità con un messaggio di speranza, pieno di vitalità e forza.

La sua partecipazione ha chiarito che i giovani non sono il futuro, ma il presente; che per continuare questa lotta dobbiamo ascoltarli, integrarli, condividere la loro visione, ascoltare le loro parole e capire che questa lotta ha bisogno di tutti.

Di seguito riportiamo una parte del loro messaggio:

“Se non abbiamo il territorio, non potremo occuparcene. Ma vengo a dirvi di non disperare, come popolo dobbiamo resistere perché la foresta sempre rifiorisce. Perché i coleotteri e tutti gli animaletti cercano la loro vita nei tronchi secchi. Possono anche volerci riempire di cemento, ma la natura si difende sempre e noi popoli siamo quella natura che si difende.

Siamo la montagna, siamo l’acqua, siamo gli animali. Possiamo essere la voce delle api, della foresta e di tutto ciò che la abita.

Ci concentriamo sul parlare ad altri giovani, lo facciamo attraverso la musica, i podcast, i video e la radio.

Dal sud di Veracruz continuiamo a resistere, e dobbiamo continuare a resistere perché noi siamo la foresta. Viva la selva maya”.

La giornata a Valladolid si è conclusa con la condivisione della cochinita pibil, che le compagne hanno preparato con amore per la carovana. Siamo poi partiti per Felipe Carillo Puerto, Quintana Roo, dove ci aspetta un evento culturale nel centro della comunità. Con musica, teatro e poesie iniziamo questo ….

Giorno 8. Felipe Carrillo Puerto, Quintana Roo.
Selva Maya devastata dal Tren Maya.

Giovedì 04/05/2023

“L’8 maggio la Caravana el Sur Resiste è arrivata nella città di Felipe Carillo Puerto dove abbiamo sfilato per le strade della città rendendo visibili i problemi causati dal progetto Tren Maya.

Dopo il corteo, siamo partiti per Xpujil, Campeche, ma ci siamo fermati all’incrocio con Laguna Ocom.

Appena arrivati, il panorama è desolante. In questo luogo, il tratto 6 del cosiddetto Tren Maya ha già tolto la vita a migliaia di alberi; cedri e mogani sono stati abbattuti senza tenere conto di tutto ciò che si perde con ogni albero abbattuto. La casa di centinaia di specie è stata strappata dalla terra per consegnare queste terre a compagnie americane, canadesi e tedesche.

La Selva Maya, un tempo piena di vita, flora e fauna, è ora uno spazio tagliato a metà dove ci sono solo pietre e tutti gli alberi sono stati uccisi. Lì, dove la vita è stata distrutta, il caldo è implacabile, la siccità si sente nell’aria, la polvere si sente galleggiare nell’aria.

Anche se le fotografie di questo crimine sono state viste su Internet, trovarsi in mezzo alla distruzione e alla morte è doloroso per tutti i presenti. Il responsabile di questo ecocidio ha un nome: Andrés Manuel López Obrador”.

Il compagno Angel Sulub, della comunità maya di Noj Kaj Santa Cruz Xáalam Naj K’ampokolche’, racconta cosa significa questo disastro per il suo popolo, il popolo maya che da millenni abita e difende questa Selva:
“Con molto coraggio, con molta rabbia nel bel mezzo di un territorio sacro, la Selva che i nostri antenati e le nostre antenate ci hanno lasciato in eredità, un territorio per il quale i nostri nonni e le nostre nonne hanno lottato per prendersene cura e garantire che noi, loro nipoti, potessimo godere del benessere che il territorio ci dà. Questa foresta maya viene spogliata, questa foresta maya viene brutalmente assassinata. Qui dove ci troviamo c’erano cedri, alberi di mogano, alberi di chicozapote, qui è dove camminavano i cervi, qui è dove camminavano i giaguari. In questo momento stiamo guardando un luogo desolato.
Stiamo vedendo l’inizio di ciò che loro, quelli che stanno in alto, vogliono, il saccheggio, l’estrattivismo più vorace del popolo. In questo territorio scorrono acque sacre, che provengono dallo Stato di Campeche e arrivano fino alla costa. Non stiamo assistendo solo alla devastazione di questi ecosistemi, ma anche alla distruzione dello stile di vita della gente”.
Due compagne eseguono un rituale in questo luogo di distruzione, offrendo acqua e miele alla terra ferita, dicendo alla madre terra di resistere, che siamo qui e che sentiamo il suo dolore.

Un modello di distruzione e morte

Sul luogo della devastazione abbiamo parlato con Sergio Madrid e Sara Cuervo del Consiglio Forestale Civile Messicano della distruzione della Selva Maya nella Penisola dello Yucatan in seguito all’avanzamento del progetto del Tren Maya.
Sergio Madrid e Sara Cuervo spiegano che questa regione e la Penisola dello Yucatan sono una delle regioni con la più grande area forestale del Paese, insieme al Chiapas, e il secondo sistema forestale più importante delle Americhe, riconosciuto come Selva Maya. Parlano anche della varietà di specie endemiche presenti in questa regione, come il giaguaro, il tapiro e molte altre.

Sergio Madrid parla di come il modello di turismo estrattivista e di distruzione ambientale e sociale di Cancún vuole essere replicato in tutta la penisola.

“Questo modello è stato quello di togliere alla gente l’accesso alla spiaggia, il territorio è stato conquistato dal grande capitale del turismo, quello che FONATUR vuole è portare questo schema di investimenti delle grandi imprese, e il governo apre la strada a questi imprenditori per entrare. L’ambiente, l’organizzazione in difesa del territorio, i diritti umani, sono un ostacolo a questo schema”.

Sara Cuervo parla anche della necessità di non guardare solo alla terribile devastazione dei binari, ma anche all’ecocidio in altre aree, come il riempimento di cenotes e pozzi d’acqua. Inoltre, bisogna considerare la violenza che è stata provocata dalla realizzazione di questo progetto e che è stata generata dall’arrivo dell’esercito e della Guardia Nazionale nei luoghi in cui il progetto deve essere costruito.

“Nonostante più di 500 anni di resistenza, stiamo vivendo un momento storico in cui le comunità vengono sottoposte a un progetto genocida ed ecocida. C’è terrore e paura a causa della militarizzazione e dell’arrivo di questi corpi; c’è anche questa ignoranza rispetto a tutto ciò che si sta intrecciando con questo progetto, e di come sia collegato al Corridoio Interoceanico e a tutti gli interessi geopolitici della regione”.

Sergio Madrid parla in particolare del processo di deforestazione e della mancanza di politiche pubbliche dello Stato messicano per affrontare e fermare la deforestazione negli Stati del Chiapas e della Penisola dello Yucatan. Al contrario, il governo messicano ha incoraggiato questa massiccia deforestazione non attuando alcun tipo di regolamentazione ambientale per disboscare migliaia di ettari e piantare monocolture come la canna da zucchero, il sorgo e la soia in modo agroindustriale o nell’ambito del progetto assistenziale e clientelare Sembrando Vida, che è stato citato durante la Carovana come uno dei principali promotori della divisione comunitaria.

Infine, Sara Cuervo parla dell’arrivo di altre industrie di sfruttamento nella regione insieme all’arrivo del Tren Maya, tra cui il settore immobiliare per l’edilizia di lusso e i progetti turistici per gli stranieri con un alto potere d’acquisto, la tratta di donne e bambini come è accaduto nella zona di Cancun e in altre aree colpite da megaprogetti di morte.  

Prima di partire, abbiamo scattato una fotografia su un mucchio di pietre e materiale da costruzione, con i pugni alzati, al grido di Caravana el Sur resiste, La Selva No se Vende, se Ama y se Defiende! 

Ce ne andiamo con il cuore dolorante per aver visto la forma più crudele del capitalismo assassino e vorace, ma anche con il cuore pieno di rabbia, promettendo alla madre terra di lottare per difenderla, per difenderci, oggi più che mai dobbiamo capire che questa lotta è per la vita.

Giorno 9. Xpujil, Campeche.
L’esercito trasforma il territorio Maya illegalmente.
Venerdì 05/05/2023

Il nono giorno della Carovana El Sur Resiste abbiamo visitato la comunità di Xpujil, Calakmul, Campeche: uno dei luoghi in cui si sta costruendo la settima tratta del Tren Maya e uno dei poli di sviluppo che comprende, oltre alla stazione ferroviaria, una base militare, nove caserme, sei banche materiali, un hotel, un casinò e un pozzo profondo.

La giornata inizia con un rituale di ringraziamento alla madre terra nella sede del Consiglio Indigeno Regionale Popolare di Xpujil (CRIPX), in cui si condividono parole di ringraziamento per la vita di tutti i presenti e si lancia un appello a continuare a lottare per la vita.

Dopo il rito, iniziamo la marcia lungo la strada, sotto un sole cocente. Si sente la mancanza di alberi e la siccità che questa comporta. Dopo più di 20 minuti, arriviamo al cantiere di un casinò che si prevede costruire accanto alla stazione e ai binari del treno.

Un progetto Illegale

Davanti alla mega costruzione che stanno realizzando, i compagni della comunità di Xpujil cominciano a parlare dell’illegalità del progetto, giacché la comunità di Xpujil ha ottenuto una sospensione definitiva in tribunale.

Il ricorso è stato depositato nel 2019, ottenendo inizialmente una sospensione provvisoria; successivamente la sentenza è stata ratificata in una sospensione definitiva, che indica che nell’area si possono svolgere solo attività di ricerca e amministrative.

I lavori sono controllati dall’esercito messicano, che ha anche una caserma nella zona. La costruzione è mostruosa, migliaia di alberi sono stati abbattuti in questa zona, trasformandola in un’area desertica piena di polvere e pietre. I bulldozer e i camion che trasportano materiali lavorano senza sosta mentre decine di militari sorvegliano la costruzione. 

Più avanti, nel cuore della selva maya e della riserva della biosfera di Calakmul, è stato annunciato che l’esercito messicano costruirà un hotel con più di 100 camere. Le attività nell’area sono iniziate senza alcun tipo di permesso legale, di valutazione di impatto ambientale o di consultazione con le popolazioni indigene della zona.

Sebbene l’ordine del giudice sia stato confermato dopo che l’esercito messicano ha dato il via ai lavori, il governo federale ha ignorato l’ordine del giudice e la distruzione di questa parte della selva maya è continuata impunemente.

Dopo aver spiegato l’iter legale seguito e come la sentenza del tribunale sia stata disattesa, un compagno procede a consegnare l’ordine del giudice a uno dei comandanti militari responsabili della costruzione.

“FONATUR e voi, SEDENA, state violando il tribunale e dovreste essere pronti ad affrontare accuse legali, e noi abbiamo il diritto di fermare i lavori. State violando un ordine del tribunale, questo è un reato grave, un reato federale”.

Il compagno ha dichiarato che la comunità tornerà con un ordine giudiziale per fermare immediatamente i lavori.

La marcia ritorna nel centro della comunità di Xpujil, dove una delle strade principali viene bloccata con una manifestazione politica e culturale. Lì, i compagni del Consiglio Indigeno Regionale Popolare di Xpujil spiegano come il Tren Maya abbia intensificato il processo di colonizzazione delle oltre 89 comunità indigene con più di 10 lingue che abitano questa parte del territorio, in quanto impone modi di vita estranei alle comunità, violando le leggi e i trattati internazionali sul diritto dei popoli indigeni all’autodeterminazione.

Difenderemo il territorio con la vita

I compagni hanno anche denunciato la discriminazione a cui sono sottoposti dai tre livelli di governo, poiché, mentre alle comunità native è stato negato il diritto alla terra con l’argomentazione della riclassificazione del loro territorio come riserva naturale, all’esercito vi è permesso costruire ogni tipo di edificio.

Durante la manifestazione è stata presentata anche la testimonianza dei compagni della Carovana El Sur Resiste, che hanno raccontato come in altre comunità si siano tenute assemblee illegali e illegittime per svendere i diritti sulla terra al Tren Maya.

Nella sola tratta di Nicolás Bravo in Quintana Roo, il governo ha negato a tutti gli ejidatarios il diritto di prendere collettivamente decisioni. I 35.000 ettari di foresta vergine che l’ejido aveva volontariamente destinato alla conservazione sono stati privatizzati e consegnati a grandi capitali come il consorzio alberghiero di Cancún e la famiglia Azcárraga del gruppo Televisa.

Un membro della comunità indigena Emiliano Zapata di Candelaria, Campeche, di lingua Chol e membro dell’Organizzazione regionale di resistenza civile, ha denunciato le minacce subite per essere sfrattato dalla propria casa e dal proprio territorio.

Secondo la testimonianza, una persona di nome Fernando Humberto Oropeza ha richiesto lo sfratto e si è presentato agli abitanti di queste terre che le famiglie coltivano da anni. Di fronte a questa situazione, il membro della comunità Emiliano Zapata ha detto chiaramente che la popolazione difenderà il proprio territorio di fronte a questa politica di esproprio.

“Come popoli indigeni abbiamo bisogno di un pezzo di terra per sostenere le nostre famiglie e lo difenderemo a qualunque costo, siamo stanchi di tante ingiustizie da parte del governo statale e federale, se toccano uno toccano tutti, non moriremo ai piedi del governo, moriremo lottando.”

Dopo la manifestazione, siamo tornati alla sede del CRIPX per condividere il pranzo e iniziare il viaggio verso Palenque, in Chiapas, ultima tappa della Carovana El Sur Resiste prima dell’inizio dell’Incontro Internazionale delle Resistenze del sud-est messicano, che si terrà al CIDECI il 6 e 7 maggio, dove i popoli indigeni di tutto il paese, così come organizzazioni, collettivi e attivisti, si riuniranno per lavorare su risposte unitarie alla macchina da guerra dello stato messicano e ai suoi megaprogetti di morte.

Giorno 10. Palenque, Chiapas.
Prima la salute, il cibo e la giustizia,
non un treno che non è Maya.
Martedì 09/05/2023

La Carovana El Sur Resiste è arrivata alla sua ultima tappa, Palenque, in Chiapas, prima dell’inizio dell'”Incontro Internazionale El Sur Resiste 2023″ che si terrà il 6 e 7 maggio nel Caracol Jacinto Canek. A Palenque è stata organizzata una marcia e una manifestazione per protestare contro la discriminazione, la criminalizzazione e l’imposizione di megaprogetti contro i popoli originari del Chiapas.

La marcia ha visto un’ampia partecipazione di compagni e compagne di varie comunità della regione, che hanno sfilato con striscioni e cartelli per chiedere il rispetto del diritto alla terra e dei diritti territoriali dei popoli originari e denunciare l’imposizione di megaprogetti nella regione.

All’arrivo sulla spianata principale di Palenque inizia la manifestazione, dove le seguenti organizzazioni: Coordinadora de Organizaciones Sociales Indígenas CDLI-Xinich, Familiares de Victimas, sobrevivientes y desaparecidos de la masacre de Viejo Velasco en la Selva Lacandona, Toblej Yu’un Wokoltik, UCISECH, Pueblos Autónomos Maya “OPAM”, Red Nacional Resistencia Civil POMACA, SADEC, CAM, CNI-Palenque, Red Nacional Pakal-Na, IXIM Ansetik tra le altre, condividono le loro parole e testimonianze sulla violenza e la discriminazione che subiscono per mano dello stato messicano e sulla resistenza delle proprie comunità.

La totale impunità del massacro di Viejo Velasco

I parenti e le vittime del massacro di Viejo Velasco, Ocosingo, avvenuto nel 2006, hanno denunciato che le indagini in questi 16 anni sono state del tutto “inefficaci e inefficienti” e che due dei loro compagni Antonio Peñate López e Mariano Pérez Guzmán sono ancora oggi dispersi.

Il massacro di Viejo Velasco è consistito nell’uccisione extragiudiziale di 6 persone, una delle quali, María Núñez González, era incinta, 2 persone sono scomparse e 36 sono state sfollate a forza.

A tutt’oggi, il governo messicano si rifiuta di riconoscere il massacro, nonostante sia stato perpetrato dal gruppo paramilitare Organización Para la Defensa de Derechos Indígenas y Campesinos (OPDIC), accompagnato dalla polizia di Stato e da altri funzionari pubblici.

Attualmente, 36 persone della comunità Viejo Velasco sono sfollate a forza senza alcuna garanzia di un possibile ritorno e quattro membri del Comité de Defensa de las Libertades Indígenas Xinich hanno contro di loro mandati di arresto, poiché sono accusati ingiustamente di aver commesso il massacro.

“Hanno ucciso senza pietà le nostre sorelle e i nostri fratelli, altri li hanno presi legati e trascinati come animali nel buio della notte nel mezzo della giungla lacandona”.

Rifiuto totale del Tren Maya

Durante la manifestazione, le organizzazioni hanno espresso il loro rifiuto nei confronti del progetto di costruzione del Tren Maya in questa regione.

La stazione di Palenque fa parte della tratta 1 che la collegherà con Escárcega, Campeche. Gli ultimi rapporti delle autorità messicane incaricate della costruzione hanno annunciato un avanzamento dell’80% di questa tratta, che comprende la stazione ferroviaria di Palenque e un progetto urbanistico attorno a essa ispirato alla maschera di Pakal.

Il complesso consisterà in un viale di 1.112 metri con sei corsie, una passerella pedonale e una pista ciclabile. I mezzi utilizzati saranno nuovi treni a lunga percorrenza, gestiti da Alstom Mexico, con una capacità di 260 passeggeri.

Durante la manifestazione, le organizzazioni Maya e Zoque presenti hanno espresso le seguenti ragioni per rifiutare il progetto, alcune delle quali includono violazioni dei loro diritti come popoli indigeni:   

  1. Le popolazioni indigene non sono state consultate secondo quanto previsto dal diritto, in violazione della legge sulla consultazione delle popolazioni indigene e dei trattati internazionali.
  1. I veri proprietari del Tren Maya sono le grandi potenze economiche straniere e le corporazioni transnazionali.
  1. Il Tren Maya porterà povertà, espropriazione di terre e territori, e per difenderci finiremo in prigione o morti.
  1. Perché il progetto costringerà i nostri figli e nipoti a lasciare i villaggi per svolgere lavori iper sfruttati, per una paga irrisoria e senza garanzie sui propri diritti.
  1. Inquinamento e distruzione di tutti gli esseri viventi, acqua, piante, foreste, animali.
Fotografía Gabriela Sanabria

I popoli Maya e Zoque hanno anche menzionato la mancanza di servizi di salute pubblica, ospedali e altri servizi nella regione. Hanno sottolineato che è ipocrita e discriminatorio costruire treni per i turisti piuttosto che servizi di salute pubblica per le comunità.

“Signor Presidente López Obrador che provi un minimo di vergogna, l’unica cosa che avete proposto è un treno e non un ospedale per la gente, che è una richiesta storica.”

Esigono la libertà per il prigioniero politico Manuel Gómez Vázquez

La Red de Resistencia y Ribeldia Ajmaq ha partecipato al forum di Palenque, con la lettura di un comunicato sulla situazione di privazione arbitraria della libertà di Manuel Gómez Vásquez, un giovane contadino maya-tzeltal di 22 anni, Base di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAZ).

Il 4 dicembre 2020 Manuel è stato arrestato da un gruppo di civili armati, che lo hanno torturato fisicamente e psicologicamente per consegnarlo il giorno dopo alla Procura della Repubblica per incriminarlo di un reato che non ha commesso. Ad oggi, è stato privato della libertà per 2 anni e 3 mesi, senza una sentenza o un processo equo.

Manuel è originario del Municipio Autonomo Ribelle zapatista Ricardo Flores Magón, Caracol IX, Ocosingo, Chiapas. Attualmente è detenuto nel Centro Estatal de Reinserción Social de Sentenciados numero 16. La Giunta del Buon Governo e il Centro per i diritti umani Fray Bartolomé de las Casas hanno sottolineato che questa detenzione è dovuta al suo lavoro come base di appoggio zapatista, in quanto la procura non ha prove per accusarlo. In una denuncia pubblica, la Giunta del Buon Governo ha dichiarato: 

“Per il malgoverno essere zapatista è un crimine punibile con la calunnia, la persecuzione, il carcere e la morte”. L’appello alla solidarietà nazionale e internazionale è ad unirsi alla richiesta di liberazione di Manuel Gómez Vázquez.

A fine giornata, siamo partiti per San Cristóbal de las Casas per prepararci all'”Incontro Internazionale El Sur Resiste 2023″, dove le comunità di tutto il sud-est messicano e dell’intero Paese, così come i media indipendenti, la società civile e le organizzazioni per i diritti umani, faranno il punto su tutte le testimonianze, le prove e le informazioni ottenute durante la Caravana el Sur Resiste. L’obiettivo sarà quello di articolare azioni e rafforzare le reti per affrontare la politica di morte e i megaprogetti del governo messicano.

INIZIA L’INCONTRO INTERNAZIONALE
EL SUR RESISTE 2023
CHIAPAS, MÉXICO

L’incontro internazionale “Il Sud resiste 2023” è iniziato sabato 6 maggio presso il CIDECI, Universidad de la Tierra Chiapas, dove più di 700 persone si sono riunite per denunciare l’espropriazione dei territori a livello nazionale e globale operata dalle imprese e dai progetti capitalisti ed estrattivisti; la violenza subita dai Popoli Indigeni, dalle donne e dai bambini a causa delle guerre e della violenza della criminalità organizzata; l’imposizione di megaprogetti che devastano l’ambiente in tutto il mondo.

All’incontro hanno partecipato membri dei Popoli Indigeni Bari; Cabécares; Chamula; Chanal; Chol; Chontal; Lenka; Masewal Maya; Maya Peninsular; Misak; Nasa; Ayuuk; Mixtecos; Nahua; Nuntayi; Ñuu Savi; Otomí; Tzotzil; Bribi; Tiouka; Tojolabal; Totonaco; Zoque; Zapoteco; tra gli altri.

Erano presenti anche persone provenienti da diversi Paesi come El Salvador, Costa Rica, Colombia, Cile, Stati Uniti, Guatemala, Honduras, Porto Rico, Brasile, Cipro, Bolivia, Cuba, Ecuador, Italia, Francia, Finlandia, Svizzera, Grecia, Honduras, Germania, Kurdistan, Regno Unito, Venezuela, e la presenza di collettivi e organizzazioni provenienti da tutto il Messico, tra cui Città del Messico, Puebla, Morelos, Guerrero, Querétaro, Chiapas, Oaxaca, Veracruz, Tabasco, Campeche, Yucatán, Quintana Roo, Stato del Messico.

L’incontro è iniziato riportando una sintesi di alcuni dei più importanti fattori di aggressione che colpiscono i territori dei Popoli Originari, riscontrati durante il tragitto della Caravana El Sur Resiste, tra cui:

  • Ingresso del narcotraffico e della criminalità organizzata nei territori.
  • Reclutamento di giovani e bambini da parte di gruppi della criminalità organizzata.
  • Autorità agrarie ed ejidatarios mancanti di una visione diretta a proteggere e prendersi cura della terra.
  • Programmi di welfare, come Sembrando Vida e le pensioni per anziani, che dividono l’organizzazione comunitaria.
  • Deterioramento della terra a causa di monocolture, fumigazioni e contaminazione dei corpi idrici.
  • Sottrazione dell’acqua destinata all’uso delle grandi aziende e non alla popolazione.

Sono state poi individuate le vittorie ottenute, grazie all’organizzazione dei popoli e dei collettivi, che hanno bisogno di essere rafforzate per avanzare nella difesa della vita:

  • Gli incontri tra i popoli e la speranza di intraprendere cammini insieme.
  • Il recupero delle terre e l’abbattimento dei megaprogetti.
  • La lotta delle donne in ogni territorio.
  • Azioni dirette come il sabotaggio di gasdotti, l’occupazione di impianti industriali, i processi legali e la vittoria di ricorsi.
  • Recupero delle specie vegetali tradizionali.
  • Reti tra caracoles, aderenti alla sesta e organizzazioni a sostegno dell’EZLN.
  • Scuole autonome e altri tipi di spazi che rafforzino i processi di autonomia.

L’incontro è proseguito con le presentazioni di compagni che da anni accompagnano e partecipano alle lotte per l’autonomia, la vita, la giustizia e la libertà. Riportiamo di seguito alcune brevi sintesi degli interventi condivisi.

Raúl Zibechi

“Stiamo vivendo guerre di saccheggio, è stato dimostrato che 4 ettari su 10 non sono ancora nelle mani dell’oligarchia o del grande capitale e, come in Brasile, queste terre sono destinate all’agricoltura, a parchi naturali e riserve custodite dalle comunità nere e da piccoli e medi contadini.

Queste sono le terre su cui il capitale sta avanzando; l’esproprio ha ancora molta strada da fare. La guerra di espropriazione è appena iniziata. Oggi il capitalismo non può vivere senza guerre di espropriazione, non può agire senza imporre guerra e violenza, cioè senza assassinare, far sparire e sfollare le persone.

Un altro fattore di questo nuovo presente è il sostegno di tutti i governi, compresi quelli della sinistra progressista, alla militarizzazione. È un modello che si è imposto, tanto in Messico con López Obrador, quanto nel governo progressista argentino, dove i progetti estrattivisti sono stati accompagnati dalla militarizzazione, come in Cile nel Walmapu, nel territorio Mapuche, dove oggi sono stanziati più soldati che durante i governi neoliberali, e che potrebbero arrivare addirittura  allo stesso numero che durante la dittatura di Pinochet. L’analisi dell’EZLN sulla quarta guerra mondiale fatta 20 anni fa è più che attuale, siamo in una guerra di espropriazione per ottenere territori destinati al grande capitale.

Inoltre, dobbiamo guardare al narcotraffico, e a ciò che rappresenta, come a un perfetto simbolo del capitale: l’espropriazione attraverso la violenza e l’accumulazione di capitale. È molto difficile tracciare una linea di demarcazione tra narcotraffico e potere, perché esiste un’alleanza tra questi gruppi di narcotrafficanti, le oligarchie e il grande capitale.

Di fronte a questo panorama di espropriazione, dobbiamo anche riconoscere che esiste un modello di crescita e moltiplicazione delle autonomie in tutta l’America Latina. Da molti popoli, l’autonomia è sentita come un obiettivo comune: si tratta di una vittoria, di passi da gigante; un senso comune tra i popoli, molto ricco nella diversità delle forme, basato sulle tradizioni e su ciò che da queste si può creare.

Questi modelli di autonomia hanno, tra gli elementi portanti e gli strumenti fondamentali, anche l’autodifesa. Molti si difendono costruendo guardie comunitarie, altri coprendosi con il passamontagna, incappucciandosi, o con dei fazzoletti.

Infine, dobbiamo riconoscere la spiritualità come elemento fondamentale per sostenere la resistenza: spiritualità è parlare di donne e del legame donna-vita-madre terra. La spiritualità è ciò che ci permette di sostenerci, nel lungo periodo, in queste lotte che non hanno fine, perché sono come un cerchio continuo, senza l’obiettivo di prendere il potere; la spiritualità è il sostegno a non fermarsi”.

Vilma Rocío Almendra Quiguanás del Cauca, Colombia

“È difficile ovunque, in tutti gli Stati nazionali dove hanno cercato di schiacciare quelli di noi che ci vivono, hanno cercato di portare via tutto ciò che è bello, come la spiritualità.

Siamo critici nei confronti dei processi di pace se provengono da coloro che sono al potere, da coloro che hanno le armi. Prima della firma di questi accordi abbiamo detto che si trattava di una pace neoliberale, una pace con il capitale, che gli avrebbe permesso di entrare nei nostri territori.

Ci hanno ingannato con queste promesse di pace, mentre continuano a uccidere chi difende la vita, la terra, l’acqua e il territorio.

Hanno ucciso migliaia di compagni, le persone più ribelli, più rivoluzionarie. Hanno ucciso coloro che credono veramente nella madre terra, le persone che sanno leggere il volo degli uccelli, che sanno stare a contatto con il vento. Stanno continuando a uccidere, non le persone più in vista nei negoziati, ma chi resiste con fierezza nei territori. Va detto che il Consiglio Regionale Indigeno del Cauca, fino al 2009, è stato il movimento indigeno più conosciuto per la sua resistenza, per il suo modo di mettere in discussione lo Stato. Si sono tenute le più grandi Mingas, con fino a 80.000 persone che hanno marciato fino a Bogotà, migliaia di compagni che sono pronti a morire per i propri territori.

In quegli anni, tra il 2008 e 2009, avevamo il controllo territoriale del Cauca. Allora il governo ha visto la forza della resistenza e ha detto: “Dobbiamo spezzarla”, ed è stato da quel momento che ha cominciato a insinuarsi nelle comunità il cancro del narcotraffico.

Hanno iniziato a cooptare i leader e oggi il controllo del territorio non è più nelle mani delle autorità tradizionali, ma degli attori armati. Negli ultimi tre anni sono state uccise dieci autorità indigene. Assistiamo al reclutamento dei nostri giovani e dei bambini che cadono preda del denaro facile a causa dell’impoverimento imposto dalla struttura statale.

Cosa preferiscono i giovani? 7 dollari come bracciante giornaliero per 10 ore di lavoro raccogliendo caffè, o migliaia di pesos per far parte di gruppi di narcotrafficanti che ti danno una moto, ti danno un cellulare, ti pagano bene? In cambio devi solo uccidere e uccidere i tuoi.

Ma dobbiamo essere chiari, i narco-paramilitari sono quelli che si appropriano di tutto il profitto, è nel loro interesse uccidere, ma all’interno di questi gruppi criminali e di narcotrafficanti ad essere reclutati e subire più vittime è chi vive le maggiori situazioni di schiavitù”.

L’intervento si è concluso affermando: “Ci sono cose molto belle, come i fiori capaci di rompere il cemento, e nel Cauca siamo riusciti a liberare la madre terra, a seminare secondo i cicli della luna, a seminare tutto ciò che è organico. Abbiamo raggiunto relazioni non patriarcali, non coloniali e non statali. Se costruiamo questa relazione con la terra, la mettiamo in campo anche con le nostre figlie e figli, e con i compagni e le compagne”.

Dilda – Mujeres de Kurdistán

“Finché le donne non saranno libere, il popolo non sarà libero. Le donne sono state le prime colonie.

Il confederalismo democratico è la speranza per il popolo curdo e per tutti i popoli del mondo, è un modo per salvaguardare la Mesopotamia e gli antichi popoli della terra. Il modo di creare la vita in Rojava mostra al mondo che lo Stato nazionale non è l’unica opzione, che esiste un’altra strada ed è possibile governarsi da soli.  Questo è il motivo principale per cui hanno paura di noi e ci attaccano.

Per noi è fondamentale il rapporto tra la madre terra e la madre donna, quell’intimo rapporto tra le donne e la natura, attraverso cui cerchiamo di distruggere il modo di pensare maschilista e dominante. Lottare con noi stesse per trasformarci e eliminare questo sistema di dominio maschile, il nostro motto è: donna-vita-libertà.

La nostra forza non viene dagli Stati, ma dalla solidarietà tra i popoli, la loro presenza ci rafforza, i nostri compagni di guerriglia sulle montagne del Kurdistan stanno generando speranza.

Abbiamo bisogno di unire le saggezze, le speranze, i sogni, le esperienze dei popoli, delle donne e delle dissidenze che lottano contro il sistema. Difendere la rivoluzione del Kurdistan è difendere la rivoluzione delle donne”.

Ana Esther Ceceña

“È in corso una battaglia per chi si aggiudicherà il potere mondiale, per la definizione delle regole del gioco e di stili di vita, la disputa più grande è quella tra Stati Uniti e Cina.

Il sud-est del Messico ha caratteristiche che, all’interno di questo riassetto geopolitico, sono di interesse per queste potenze che vogliono controllare i territori per creare una forza capace di competere. Un tassello fondamentale per gli Stati Uniti è il riassetto del Nord America e l’annessione di queste aree, il tentativo di controllare questi territori sarà sempre più forte a causa della minaccia della Cina e delle sue alleanze; si sta acutizzando il conflitto nella sfera economica – cresce la ricerca di maggiori forniture di produttività, territorio, cultura.

Lo vediamo con gli Stati Uniti che visitano il Messico sud-orientale, i loro gruppi di difesa osservano, guardano; assicurano alle loro aziende che i loro investimenti sono sicuri, che stanno già aprendogli il territorio.

Non è questione di farsi angustiare, è un modo per leggere la realtà e da lì mettere in campo strategie, per chiedersi come affrontiare queste dispute territoriali tra potenze, come difendiamo le nostre vite, le nostre forme, i nostri modi, e quali debbano prevalere.

C’è anche una strategia di espropriazione di tutto ciò che è simbolico, spirituale, culturale; un esempio è la distruzione di tesori archeologici lungo l’intero percorso di questi treni: i bulldozer li rompono e li distruggono mentre quelli integri li portano via e li rubano. Tutti questi ritrovamenti sono storia, una storia distrutta in nome di un progresso che non è tale.

Le domande sono: come ricostruire il territorio? come ricostruire la nostra cultura e il nostro modo di vivere senza smettere di riconoscerci nelle nostre radici, nella storia e la geografia a cui apparteniamo?”.

Carlos González

“Il capitalismo sta attraversando una crisi profonda in diversi aspetti e che si è aggravata dopo la pandemia: dobbiamo parlare di un mondo pre-pandemia e di un mondo post-pandemia. La pandemia si è sommata alla crisi del sistema capitalistico: disoccupazione, inflazione, crisi delle reti alimentari, nuova recessione negli Stati Uniti.

Stiamo parlando di una crisi di civiltà globale che ci obbliga a trovare la forza di fare una cosa non da poco, ovvero distruggere questo sistema patriarcale e capitalista. Non possiamo più proporre politiche, proposte di governo o riforme legislative, che cadono nel vuoto.

È quello che è successo con la Legge sulle Miniere, che è stata inviata alla Camera dei Deputati con elementi importanti per ridurre l’attività mineraria, togliere il controllo dell’acqua e ridurre l’immensa ricchezza prodotta dalle miniere.  Arrivata alla Camera dei Deputati sono iniziate le trattative con le aziende, con le aziende canadesi, e da lì è stata modificata l’iniziativa di legge. Il Presidente non ha difeso questa legge.

Non abbiamo bisogno di mezze misure. Abbiamo bisogno di impegno, perché la posta in gioco è la vita.

Il Corridoio Interoceanico, il Tren Maya, il Progetto Integrale Morelos e l’Aeroporto di Santa Lucia sono tutti progetti collegati. E il fine ultimo di questi progetti è quello di riorganizzare le frontiere: si tratterà di barriere contro le migrazioni; saranno progetti di sviluppo territoriale integrato.

Oggi dobbiamo saper riconoscere due luci di speranza: la lotta delle donne in tutte le sue forme – anche se noi uomini ci preoccupiamo che rompano le finestre e imbrattino i monumenti, cose insignificanti di fronte alla violenza che subiscono-; l’altra luce è quella dei popoli originari che lottano per difendere il proprio territorio. Dobbiamo alimentare queste due luci, farle crescere e farle incontrare.

Condivisione tra differenti lotte e movimenti

Dopo le presentazioni principali, i partecipanti si sono divisi in diversi gruppi che hanno potuto ascoltare più approfonditamente le lotte e le resistenze di molte altre comunità e collettivi, nonché condividere esperienze di organizzazione autonoma, autogestione, arte e cultura per costruire mondi altri.

Questi sono alcuni dei temi trattati nell’incontro:

  • Relazione sulla missione di osservazione in Guerrero, CIPOG-EZ e Montaña de Guerrero.
  • Xenofobia e discriminazione in El Salvador
  • Prigionieri indigeni e tortura
  • Presidio UCIZONI Tierra y Libertad
  • Contesto in Kurdistan
  • Educazione popolare in Ecuador
  • Articolazione nello Yucatan contro il treno “Maya
  • La lotta dei popoli indigeni in Colombia
  • Stop Cop City ad Atlanta
  • Femminicidi in Messico
  • Economia comunitaria e femminismo

L’incontro proseguirà domenica 7 maggio, dove si prevede di articolare le lotte in difesa della vita.

Fotografías Juan Valeiro